venerdì 4 ottobre 2013

i film - Per un dollaro di gloria



1965 (uscito nel 1967) PER UN DOLLARO DI GLORIA
di Fernando Cerchio. Con Broderick Crawford, Mario Valdemarin, Hugo Arden, Elisa Montes, Umberto Ceriani.

In fin dei conti non è proprio da buttare questo piccolissimo film, probabilmente realizzato con un investimento pari al dollaro del titolo, diretto da un onesto artigiano della vecchia generazione come Fernando Cerchio e interpretato dal grande Broderick Crawford in una delle sue trasferte italiane - la più celebre delle quali fruttò lo straordinario Il bidone (1955) di Fellini -, appesantito e sfatto oltre ogni immaginazione. I suoi problemi di alcolismo all'epoca erano noti e la cosa si percepisce senza grande sforzo: le scene in cui lo si vede barcollare, o quelle in cui fatica persino a tenere aperte le palpebre, non si contano. Eppure, un po' come accadrà con Van Heflin in Ognuno per sé (1968) di Capitani, il suo carisma da grande attore hollywoodiano in disuso si mangia in un sol boccone il resto del cast, ed è proprio nei momenti in cui c'è lui di fronte alla macchina da presa - complice anche il consueto ottimo lavoro di Emilio Cigoli in sede di doppiaggio - che il film acquista in spessore e credibilità. 

 

Per il resto, Per un dollaro di gloria è indubitabilmente un film nato vecchio. Il che non è in tutti i sensi un difetto. Cerchio non bada neanche di striscio ai coevi modelli italiani, si ispira anzi evidentemente ai western militari americani di maestri della serie B come Gordon Douglas. L'ambientazione claustrofobica, il crescendo della tensione basato sull'attesa dell'assedio imminente - l'atmosfera, diremmo oggi, "carpenteriana" del tutto - rimandano direttamente a film come L'avamposto degli uomini perduti (1951). Di suo, il vecchio regista ci mette uno stile un po' ingessato e superato dai tempi, ma tutto sommato funzionale all'impostazione retrò dell'insieme. Qua e là, riesce pure a metterci dentro qualche bella ellissi e dimostra di saper sfruttare con una certa perizia la profondità di campo garantita dal formato scope. Nonostante un buon numero di prevedibili cadute di tono, poi, è un film piuttosto triste e pessimista. Curioso, per esempio, il fatto che quasi tutti i personaggi siano accomunati dalla perdita dolorosa di uno o più familiari. Mogli e figli dei soldati di stanza al forte, per dire, vengono massacrati dagli indiani dopo dieci minuti di film - a proposito, sì, è uno dei pochissimi western italiani in cui compaiono i pellerossa, anche se mai in primo piano - e in generale tutti i personaggi non sono certo degli allegroni, anzi. Il massimo è il colonnello interpretato da Crawford, un vecchio militare testardo e razzista che non si fa problemi a stecchire a sangue freddo chiunque gli disobbedisca, intimamente disperato per una carriera - e una vita - di soli bassi. Lo vedremo lentamente perdere il senno, accecato dai rimpianti e dalla solitudine. Non male per un film che aveva chiaramente come target il pubblico semplice e di bocca buona delle sale parrocchiali.

La storia, a quanto pare basata su un fatto realmente accaduto, è incentrata su un plotone di soldati francesi di stanza in Messico - il contesto storico è quello del celebre Affare Massimiliano - che per sfuggire alle scorrerie di confine dei Navajo si spingono in territorio americano e trovano rifugio, inizialmente come prigionieri, in un isolato fortino sudista - nel frattempo, siamo nel 1864, si combatteva ovviamente anche la Guerra di Secessione. Le due fazioni poi uniranno le forze per respingere gli attacchi indiani. A dire l'ingenuità artigianale della produzione, fra Americani e Francesi non c'è il minimo problema di comunicazione, tutti parlano perfettamente la stessa lingua stretti nelle loro divise inamidate e spesso fuori taglia. E per sottolineare quanto i tempi sono cambiati basti far notare che la spalla di Crawford è tale Mario Valdemarin, un giovanotto friulano che all'epoca trascorse un breve periodo di popolarità grazie alla partecipazione a Lascia o raddoppia. Costui, da cinefilo qual era, dimostrò in trasmissione di conoscere a menadito la filmografia di John Ford: perché, dunque, non farlo recitare in un western?

All'epoca il film non lo vide praticamente nessuno. Non che la sua fama sia cresciuta col tempo, anzi. Al giorno d'oggi queste piccole pellicole hanno il fascino dei reperti archeologici, parlano un poco di un mondo che non c'è più. Lontanissimi dalla modernità dei film di Leone, Corbucci, Sollima, Petroni eppure da apprezzare proprio per il fatto stesso di discostarsi da quei consolidati modelli, testimoni di un periodo in cui per un piccolo e poco conosciuto regista italiano era possibile anche ispirarsi ai classici di Gordon Douglas o John Sturges per regalare al pubblico un onesto, pulito prodotto d'intrattenimento.


Paolo d'Andrea


p.s.: e comunque Cerchio, zitto zitto, ci ha regalato uno dei primi - e più belli - esempi di noir/poliziesco italiano: Il bivio, 1951.

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