mercoledì 15 maggio 2013

i film - Lo voglio morto

1967 LO VOGLIO MORTO 
di Paolo Bianchini. Con Craig Hill, Lea Massari, José Manuel Martin, Andrea Bosic, Licia Calderón, Rick Boyd, Frank Braña.


Sud degli Stati Uniti: Clayton (C. Hill) è un cow-boy come tanti, deciso dopo parecchi anni di duro lavoro a comprarsi un terreno e una casa da condividere con la giovane sorella (C. Businari). Tutto sembrerebbe andare per il verso giusto, ma giunto in città scopre che a causa della guerra civile i dollari sudisti hanno subito una portentosa svalutazione; come non bastasse, durante una sua breve assenza, la sorella viene violentata e uccisa da una coppia di banditi. Senza piú nulla da perdere, Clayton si mette sulle tracce degli assassini - uno dei quali ha imprevidentemente dimenticato nella stanza un sacchetto di tabacco personalizzato -, in realtà membri di una grossa banda al servizio di un potente commerciante d'armi (A. Bosic) interessato a protrarre quanto piú possibile il conflitto in vista di ingenti guadagni personali. La faccenda si complica, ma dopo innumerevoli sofferenze e molto sangue sparso Clayton troverà anche il vero amore.

Paolo Bianchini (1931), tuttora molto attivo nell'ambito della fiction televisiva, è stato per anni uno dei registi pubblicitari piú prolifici d'Italia. Come molti suoi colleghi dell'epoca, si era fatto le ossa come assistente di gente importante come Monicelli, Comencini, Vittorio De Sica, Leone ed aveva poi esordito come autore in proprio a metà degli anni '60, nel campo del cinema di genere. Inevitabile quindi il suo incontro con il western: ne dirigerà quattro nel giro di tre anni, alcuni dei quali considerati dei veri e propri cult-movies grazie alle ormai proverbiali pronunciazioni dell'imprevedibile Tarantino. Lo voglio morto, nello specifico, è reputato una «gemma del genere» da noti esperti del settore come Tom Betts e Alex Cox. È, in effetti, un piccolo film girato con uno stile personale e consapevole. Forse proprio per la sua citata esperienza nel campo della pubblicità, Bianchini si diverte ad inserirci un'abbondanza di primi e primissimi piani, dettagli ingranditi, stacchi ad effetto; emblematica la sequenza inizale - pare fortemente voluta dai produttori, che lamentavano un numero di morti troppo esiguo -, tutta costruita tramite un montaggio frammentato e velocissimo, in cui vediamo Craig Hill sventare un agguato ai suoi danni grazie al riflesso di un'arma colto nella tazza del caffé.

L'intera pellicola, a dirla tutta, regge soltanto per il lavoro di Bianchini e del direttore della fotografia Ricardo Andreu. Oltre alla ricercatezza stilistica si coglie l'insistenza che il regista, all'epoca militante comunista, mette nel condannare la violenza perpetrata dai fuorilegge sulle donne - con le bellissime Lea Massari e Licia Calderón costrette a subire ogni tipo di sopraffazione -, cosí come il furore di alcune impennate pacifiste - la sequenza della fucilazione del soldato nordista - e anticapitaliste - l'ironia moralista del finale. Per il resto la sceneggiatura è un'accozzaglia di incongruenze e forzature e il cast, nonostante la presenza di ghigne note come José Martin e Frank Braña, è debole e poco carismatico. La faccia rigida di Craig Hill, perfetta per personaggi freddi e amorali come il Lanky Fellow di Per il gusto di uccidere, risulta invece inadeguata per un ruolo che dovrebbe teoricamente includere una certa dose di partecipazione e emotività; molto meglio Lea Massari, cui spetta la parte in qualche modo piú complessa e sfaccettata del copione. Curiosa infine la comparsata-lampo - giusto il tempo di morire - della neo-miss Italia dell'epoca Cristina Businari, peraltro clamorosamente inespressiva.

In definitiva, un piccolo western stilisticamente curato e originale, affossato da un plot insufficiente e da interpretazioni quasi mai all'altezza. Interessante, non indispensabile.


Paolo A. D'Andrea

3 commenti:

  1. Per me è un piccolo gioiello.
    Bianchini è stato un duro e puro della serie B, privo di qualsiasi tentazione autoriale (anche se si notano degli elementi in comune nei suoi quattro western), ma girava benissimo e sapeva cavare il sangue dalle rape, viste la visibile miseria delle sue produzioni.

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  2. Indubbia la bravura di Bianchini. Però il film è davvero scritto da cani: oltre a certi dialoghi improbabili fa ridere il protagonista che per due-tre volte se ne va definitivamente (con tanto di addii) dal ranch dove abita la ragazza per poi ricomparire miracolosamente come niente fosse quando lei è in pericolo... Non sono certo uno che sta a badare troppo alle sceneggiature negli spaghetti, ma qui la cosa è davvero manifesta.

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  3. Sì sì, anche gli altri western di Bianchini sono terribili come costruzione dei personaggi e sceneggiatura. Sono davvero usufruibili solo come film di serie B o anche C. Ma hanno tutte quelle cose che i film di serie B dovrebbero sempre avere e poi invece è raro che abbiano veramente: ritmo, stile e la voglia di dare veramente al pubblico quello che vuole (tanta azione e tanti morti in questo caso).

    Poi questo è probabilmente il suo film "migliore", se non piace è meglio non tentarci neanche con gli alri.

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