giovedì 2 maggio 2013

i film - Bandidos



1967 BANDIDOS (Crepa tu... che vivo io!)
di Massimo Dallamano, con Enrico Maria Salerno, Terry Jenkins, Venantino Venantini, Chris Huerta, Maria Martin, Marco Guglielmi

Un anziano pistolero si ritrova con le mani spappolate dopo uno scontro con un suo ex-allievo divenuto fuorilegge. Anni dopo, mentre gira il West con un carrozzone esibendo pistoleri da baraccone, incontra un giovane molto svelto con la pistola. Lo istruisce per farne il tramite della sua vendetta, ma il finale sarà amaro per tutti.

Il cinema di genere italiano degli anni sessanta e settanta è stato un’incredibile fucina di talenti, forse unica per qualità e quantità in tutta la storia del cinema, che accanto a riconosciuti e celebrati Maestri della Settima Arte (Leone, Bava, Argento…) e grandi autori che hanno rivoluzionato i generi nei quali si sono cimentati (Corbucci, Di Leo, Castellari, Fulci…) ha espresso decine e decine di altri professionisti meno noti al grande pubblico ma in possesso di un invidiabile bagaglio di competenze tecniche e qualità espressive.
Massimo Dallamano, nato a Milano nel 1917 e scomparso prematuramente a Roma nel 1976, è stato tra questi ultimi. Praticamente sconosciuto presso il pubblico dei non aficionados, è stato un direttore della fotografia e un regista dallo stile raffinato e geniale.
Anche i suoi film più ortodossi, come i poliziotteschi degli anni settanta, sono ricchi di finezze di regia, invenzioni visive e movimenti di macchina fluidi e eleganti.



Il suo contributo al western all’italiana, nonostante abbia realizzato un solo titolo come regista (poi preferirà dedicarsi a thriller e drammi spesso molto morbosi ed erotici, tra i quali ricordiamo almeno Che cosa avete fatto a Solange?), non è stato per niente secondario: Dallamano è stato infatti uno degli uomini che hanno contribuito al lancio e al conseguente boom commerciale dello spaghetti-western, firmando – con lo pseudonimo di Jack Dalmas – la fotografia dei primi due western di Sergio Leone, Per un pugno di dollari e Per qualche dollaro in più (oltre a quella degli altrettanto anticipatori Duello nel Texas e Le pistole non discutono).

Per il suo esordio come regista – dove si firmerà stavolta Max Dillman – Dallamano non poteva quindi che rivolgersi proprio al western, e lo fa con questo gran bel film del periodo d’oro del genere interpretato da Enrico Maria Salerno, la mitica “voce” di Clint Eastwood nei film di Leone: un altro di coloro che hanno avuto un ruolo fondamentale nello stabilire le coordinate del filone.



Nonostante gli ammazzamenti in puro stile “spaghetti” (assolutamente notevole la strage iniziale nel treno, forse il pezzo più bello del film) per compattezza e disegno dei personaggi la pellicola sembra più vicina a un western americano di stampo classico che non a quelli leoniani, da cui Dallamano sembra quasi volere prendere le distanze (forse per ripicca verso Leone, che gli preferì Tonino Delli Colli per il terzo capitolo della Trilogia del dollaro, tanto che Alex Cox nel suo saggio 10.000 ways to die parla esplicitamente di film anti-leoniano).
Né il regista né molti degli attori protagonisti torneranno più al genere, cosa che dona all’opera una certa aria di unicità e singolarità, come anche le scene in esterni, che anziché nel familiare deserto di Tabernas in Almeria sono girate nella verdeggiante Spagna del Nord.

Da grande direttore della fotografia Dallamano esordisce “col botto”, con una regia talentuosa, ricercata e piena di trovate visive, non risparmiandosi in raffinatezze e pezzi di bravura e realizzando un’opera visivamente quasi pittorica, curata in tutte le tonalità delle luci e nei minimi cromatismi delle scene, come viene sottolineato esplicitamente nella famosa scena al saloon che cita il dipinto La morte di Sardanapaolo di Eugene Delacroix.



Grande anche la costruzione visiva di tutte le sequenze di sparatorie, con almeno un paio (quella al saloon e quella dello straordinario finale) assolutamente memorabili.
Ottimo il cast, con Enrico Maria Salerno ovviamente a svettare su tutti, ma anche Venantino Venantini, nel ruolo del cattivo imbattibile con la pistola, e Chris Huerta, in quello del messicano alla Mario Brega, sono bravissimi.
Grande score di Egisto Macchi, indovinata variazione dei famosi temi morriconiani.
Decisamente convincente anche il lavoro degli sceneggiatori nel tratteggiare dei personaggi di grande complessità psicologica e nel proporre l’ennesima riuscitissima variante sul tema della vendetta, soggetto privilegiato dell’italico western.

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