giovedì 7 marzo 2013

i registi 20 - Ted Kotcheff

TED KOTCHEFF
Dall’Outback australiano al Western israeliano



Nato nel 1931 a Toronto da genitori provenienti dalla Bulgaria ma di origine macedone Ted Kotcheff è stato un regista decisamente versatile e cosmopolita. Dopo aver iniziato a lavorare per la televisione canadese già a metà degli anni cinquanta, nel decennio successivo si trasferisce in Inghilterra dove gira i primi film per il cinema e la televisione, quindi all’inizio degli anni settanta realizza uno dei capolavori della cinematografia australiana, che ne farà da apripista alla cosiddetta new wave, e infine approda a Hollywood, dove esordisce con un western girato in Israele e diventa poi famoso come regista del primo Rambo (1982), senza dubbio il film a cui è indelebilmente legato il suo nome.

Per quanto trasmetta un’immagine dei reduci del Vietnam falsa e colpevolmente sensazionalista il Rambo di Kotcheff non ha nulla a che spartire con i sciocchi e ridicoli – cinematograficamente prima ancora che ideologicamente – seguiti realizzati in prima persona da Sylvester Stallone ed è un film di grande forza e compattezza con un convincente ritratto psicologico dei personaggi, anche se in fondo costituisce un po’ un compromesso commerciale per un regista più raffinato ed autoriale di quanto si creda, vincitore dell’Orso d’Oro al Festival del Cinema di Berlino nel 1974 con Soldi ad ogni costo e nominato alla Palma d’Oro a Cannes nel 1971 per Wake in Fright.

Se il successo mondiale di Rambo ha portato grande fortuna al suo attore protagonista ne ha riservata invece poca al regista del film, e la stella di Kotcheff, appena assurta alla ribalta hollywoodiana dopo decenni di variegata attività in giro per il mondo, comincia ben presto a declinare, fino a finire costretta, negli ultimi due decenni, nelle produzioni televisive.
Ed è davvero un peccato, vedendo i due film qui presi in esame e la potenza della loro messa in scena, che il regista si sia perso tra poco riuscite commedie e discutibili film di cassetta anziché perseverare in un percorso artistico che avrebbe potuto portarlo tra i grandi del cinema d’azione.



1971 WAKE IN FRIGHT
di Ted Kotcheff, con Donald Pleasence, Gary Bond, Chips Rafferty, Sylvia Kay, Jack Thompson, Peter Whittle, Al Thomas, John Meillon

Non è un western in senso stretto, ma data la sua importanza all’interno della filmografia di Kotcheff, di cui costituisce l’indiscutibile capolavoro, ci pareva doveroso includerlo in questa nostra breve scheda riguardante la fase meno conosciuta e più autoriale della carriera del regista canadese, tanto più che si tratta di un film tuttora completamente inedito in Italia e quindi speriamo con la nostra segnalazione di invogliare qualche lettore a recuperarlo.

Autentico “capolavoro perduto” anche in Australia, dove è stato invisibile per più di trent’anni, finendo per essere ammantato da un’aura di leggenda, è stato infine sottratto all’oblio alla fine dello scorso decennio (in condizioni quantomeno avventurose: pare che l’unico negativo esistente sia stato rinvenuto all’ultimo momento su un container destinato al macero), quindi restaurato digitalmente e nel 2009 rilasciato di nuovo nei cinema e pubblicato in home video, con tanto di presentazioni in pompa magna a pubblico e stampa.



Definito oggi come il classico film “seminale” Wake in Fright pone le basi stilistiche e tematiche di molto del cinema australiano degli anni a seguire, in particolare per quella corrente chiamata “Outback Gothic”, e fissa lo stereotipo dell’ocker, cioè il campagnolo australiano ignorante, volgare, maschilista, violento ed alcolizzato, elemento ricorrente di una fervida stagione cinematografica durata almeno fino a metà degli anni ottanta, che nella sua declinazione più commerciale (comprendente anche western come La taverna dei dannati di Terry Bourke e Braccato a vita di Philippe Mora) viene definita ozploitation.

Moderno cuore di tenebra ambientato nell’outback, lo sconfinato deserto australiano, e nel bush, le desolate ed emarginate campagne, questa trasposizione dell’omonimo romanzo di Kenneth Cook è una potente riflessione sulla natura violenta e feroce dell’Australia rurale, strutturata come società maschile ed aggressiva, dove l'alcol serve da catalizzatore dei rapporti umani e affermazione della propria identità.



La pellicola racconta la storia da incubo di un insegnante di scuola elementare (Gary Bond) e della sua discesa in un abisso di degrado e umiliazione mentre si trova bloccato in un piccolo paese nell'entroterra australiano, dove viene a contatto con una popolazione di ubriachi, derelitti e squilibrati – tra cui un medico luciferino interpretato con il consueto istrionismo da Donald Pleasence – dediti ad allucinanti adunate di gioco d’azzardo, estenuanti maratone alcoliche e sconvolgenti battute di caccia al canguro.

Il progressivo ingresso del protagonista – e, attraverso il suo punto di vista, di noi spettatori – in una spirale sempre più incontrollata e senza senso di violenza e autodistruzione che ne porta alla luce i lati più oscuri e sconosciuti – che diventano metafora di quelli di una nazione intera – viene raccontato con sguardo lucido, distaccato e assolutamente non compiaciuto; anzi la regia curata ed elegante di Kotcheff, che non manca di preziosismi e soluzioni originali, la fotografia satura e accesa di Brian West e il montaggio frammentato e moderno di Anthony Buckley si pongono in disturbante contrasto con la crudezza del narrato.



Il risultato è un film tanto duro e realistico quanto sgradevole e scioccante, accostato dalla critica al Paradiso perduto di Milton, che consegna un’immagine dell’entroterra australiano come desolata frontiera fatta di sudore, alcol, polvere e mosche, i cui immensi spazi vuoti più che simbolo di libertà diventano le sbarre di un’invisibile prigione.



1974 LA MIA PISTOLA PER BILLY (Billy Two Hats)
di Ted Kotcheff, con Gregory Peck, Desi Arnaz Jr, Jack Warden, David Huddleston, Sian Barbara Allen, John Pearce

Il primo film statunitense di Kotcheff è un western tanto notevole quanto poco conosciuto, pienamente calato nella fase crepuscolare del genere.
La demitizzazione e il revisionismo erano caratteristiche peculiari del cinema americano della prima metà degli anni settanta (prima che i blockbusters di George Lucas e Steven Spielberg le spazzassero via per sempre) ma proprio nel western, il genere cinematografico tradizionale statunitense per eccellenza, esse vennero espresse con ancora più amarezza e disincanto.

Come altre pellicole di quel periodo il film di Kotcheff opera un radicale ribaltamento di prospettiva all’interno del genere: i personaggi positivi sono dei fuorilegge, il Far West mitico dei pionieri non esiste più, i bisonti sono scomparsi e i pochi indiani rimasti sono caricature grottesche e alcolizzate; gli stessi “eroi” di un tempo sono vecchi e soli.
A resistere ancora è l’amicizia virile tra un esule scozzese, fuorilegge per caso e disperazione, e un giovane meticcio sradicato, ma i loro sogni, come quello di andare a rifarsi una vita in California, sono inevitabilmente destinati a morire.



Narrativamente il film si regge su una robusta sceneggiatura di Alan Sharp, grande sceneggiatore (ma anche romanziere) scozzese recentemente scomparso, autore dei copioni di western come Nessuna pietà per Ulzana di Robert Aldrich e Il ritorno di Harry Collings di Peter Fonda, ma anche di Bersaglio di notte di Penn e Osterman Weekend di Peckinpah, che intreccia le dinamiche tra i diversi personaggi con ammirevole profondità, anche quelli minori come il cacciatore di bisonti in pensione interpretato con la consueta esuberanza da David Huddleston (caratteristica passato alla storia del cinema per due ruoli: il Jeff Lebowsky de Il grande Lebowsky e “il Tigre” di Nati con la camicia) e la timida mogliettina di un’intensa Sian Barbara Allen.

Il fulcro del film è però giocato sul rapporto tra l’anziano pistolero interpretato da Gregory Peck – attore che ha sempre compensato la poca espressività con una grande presenza scenica e che al suo ultimo western non si fa problemi a mostrarsi vecchio e zoppo per quasi tutto il film in un’interpretazione semplicemente commovente – , il giovane meticcio di Desi Arnaz Jr. e lo sceriffo razzista che dà loro la caccia, un bravissimo Jack Warden perfetto nella parte del difensore della legge tanto implacabile quanto stolto.



La regia di Kotcheff , fluida ed elegante, è pressoché perfetta nel muoversi con calma intorno ai personaggi e nel costruire un’atmosfera di tensione venata di tristezza e fatalismo, ben appoggiata dall’ottima fotografia di Brian West.
La struttura del film – in pratica una lunga caccia all’uomo seguita alternativamente dagli occhi del cacciatore e da quelli delle prede –, l’empatia per gli inseguiti e la caratterizzazione del tutore delle legge cieco ed arrogante così simile a quella di Brian Dennehy non possono che far venire il mente il film più famoso di Kotcheff, Rambo, che si muove lungo binari narrativi molto simili.



La pellicola è stata girato interamente in Israele, nei Desert Studios di Eilat e nel deserto del Negev, che servì da location negli anni settanta anche per altri western (tra cui gli italiani Execution di Domenico Paolella, Black Jack di Gianfranco Baldanello e Diamante Lobo di Gianfranco Parolini) e che con i suoi paesaggi aridi e brulli trasmette efficacemente l’idea di una landa desolata e senza vita, nonostante a un occhio esperto la vegetazione possa apparire del tutto fuori luogo.

Come al solito da censurare il liberissimo doppiaggio italiano che trasforma il nome indiano del protagonista, Billy Two Hats, in Billy Due Gilet!

3 commenti:

  1. Ovviamente ho visto e conoscevo solo il secondo film. Mentre il primo non l'avevo mai neanche sentito nominare... me lo segno subito.

    Di Kotcheff ricordo anche il bellissimo "I mastini del Dallas" amarissimo film sportivo con Nick Nolte e il buon vietnam-movie (versante un po' destroso) "Fratelli nella notte" con Gene Hackman, che paradossalmente come trama anticipava proprio "Rambo 2", solo che era meglio.

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  2. Grazie ragazzi, non conoscevo Wake in fright, l'ho visto ieri sera, capolavoro!

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  3. commento in ritardo di un anno e mezzo per ringraziarvi della recensione che mi ha fatto conoscere Wake in Fright. Visto da più di un mese, ce l'ho ancora in testa. CAPOLAVORO!

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