giovedì 19 gennaio 2012

i registi 6 - Ralph Nelson

RALPH NELSON
Il regista del massacro


Il rischio che si corre riesumando il ricordo di registi dimenticati o trascurati è quello di voler a tutti i costi rintracciare un percorso artistico in quelle che furono normali carriere da artigiani del cinema, al massimo baciate dalla fortuna di essersi sviluppate in tempi più interessanti di altri. Questo è probabilmente il caso dell'americano Ralph Nelson (1916 - 1987), regista solido e convenzionale, privo di una vera personalità registica, ma in grado di riflettere con una manciata di pellicole un certo spirito degli anni 60. Dei quindici lungometraggi da lui diretti tra il 1962 e 1979, molti dei quali sotto il segno delle tensioni razziali e della violenza, tre sono i titoli chiave della sua carriera, di cui i primi due ampiamente caduti nel dimenticatoio. Il primo è I gigli del campo, del 1963, volenterosa commedia anti-razzista con Sidney Poitier, ai tempi premiata dagli oscar, ma oggi per forza di cose un po' stantia e all'acqua di rose. Il secondo è I due mondi di Charlie, del 1968, tratto dall'agghiacciante romanzo Fiori per Algernon di Daniel Keyes, cupissima opera sul fallimento del progresso umano, sintetizzato nella parabola di un ritardato che acquisita e perde l'intelligenza ottenuta grazie ad un esperimento scientifico. Di questa interessante opera in genere oggi si ricorda solo che l'attore protagonista, Cliff Robertson, vinse l'oscar nell'anno in cui era in concorso il Dustin Hoffman de Il laureato. Ma è con il terzo titolo con cui Nelson lascerà un segno controverso e sanguinante sulla storia del cinema: Soldato blu.

In questa sede ci occupiamo ovviamente solo dei western diretti da Nelson, che sono tre e molto diversi tra loro.


Duello a El Diablo (1965, Duel at Diablo) di Ralph Nelson
con James Garner, Bibi Anderson, Sidney Poitier, Dennis Weaver

Western ancora piuttosto classico e convenzionale, non ancora crepuscolare, anche se i primi dubbi si stavano insinuando nel genere. Ci sono ancora le giubbe blu buone e gli indiani (quasi) cattivi, ma il tutto è contaminato da tensioni razziali che scombinano i ruoli e le parti. Il protagonista deve vendicare la moglie indiana uccisa e scalpata da un bianco, il coprotagonista è un ex-sergente nero, il personaggio femminile è una donna bianca rapita dagli apaches che ha anche avuto un figlio da un capo indiano. Da questi pochi cenni di trama si può notare come vengano anticipati alcuni elementi che si ritroveranno proprio in "Soldato blu". Soprattutto il personaggio di Bibi Anderson, la donna rapita dagli apache, che praticamente interpreta la versione passiva e un po' lagnosa del futuro personaggio di Candice Bergen. Il film è godibile, un classico di indiani contro giacche blu, e civili più o meno innocenti nel mezzo, ambientato nei rossicci e aridi territori del profondo sud-ovest. La prima parte è un po' lenta e verbosa, ma la seconda è spettacolare e violenta, con un tripudio di canyon, agguati, assedi, frecce e torture.


Soldato blu (1970, Soldier Blue) di Ralph Nelson
con Candice Bergen, Peter Strauss, Donald Pleasence, John Anderson
Tratto dal romanzo Arrow in the Sun di Theodore Olsen

Mentre risuanono le aspre note di "Soldier Blue", della cantautrice folk e indiana Buffy Saint-Marie, scorrono i titoli di testa del film. Si vedono immagini di campi fioriti e all'orizzonte, in controluce, la sagoma di una ragazza che cammina, capelli al vento, passo indolente. Il film comincia e si vede uno squadrone di soldati sporchi e annoiati, in attesa che l'ufficiale chiuso nella latrina abbia finito i suoi bisogni. Basterebbe questo inizio, fuori da ogni schema western visto fino ad allora, anche a livello iconografico e musicale, per smentire che la novità di "Soldato blu" stia solo nella netta presa di posizione in favore degli indiani e nella violenza messa in scena nel celebre massacro conclusivo. Finale che ha sempre messo in ombra l'ora e un quarto di pellicola che viene prima, dove invece risiede la vera originalità del film. Come ad esempio nell'iniziale massacro dei soldati, che smonta molti cliché dell'eroismo cinematografico, mettendo in scena militari goffi e impauriti e mostra una battaglia dove tutto sembra casuale e confuso.

Ma il vero cuore del film è soprattutto la bellissima parte centrale, ironica e picaresca, che vede in scena per un'ora quasi solo lo sbigottito soldatino interpretato da Richard Strauss e l'indiana bianca di Candice Bergen. È qui che avviene il ribaltamento di uno dei fondamenti di tutto il cinema western, con la messa in scena di un personaggio femminile che ruba a quello maschile il baricentro etico del film. Non è solo una questione di ruoli convenzionali che vengono scompaginati, ma di impiego di un punto di vista inedito interno al genere. Come il soldato blu, anche lo spettatore è costretto, man mano che il film procede, a filtrare la visione del west attraverso l'ottica alternativa e dissonante di cui il personaggio della Bergen si fa portavoce. E infine è costretto ad aprire gli occhi sulla violenza e il sangue sempre rimossi e anestetizzati dal cinema, non solo western.


Per un'indimenticabile e luminosa Candice Bergen è il ruolo della vita. I suoi lunghi capelli biondi e le abbondanti porzioni di epidermide mostrate per mezzo film la impongono nei sogni di una generazione, incoronandola come una delle attrici simbolo del cinema contestatore di quegli anni. Il suo è un personaggio mai visto in un western e poi praticamente mai più rivisto. Una ragazza disinibita e rozza ma in fondo dolce, cinica e menefreghista ma anche fragile e alla fine sconfitta.


E poi certo, c'è la mezz'ora finale. Ancora oggi un pezzo di cinema tra i più disturbanti, sinistri e violenti mai visti, con dettagli macabri insostenibili anche per lo smaliziato spettatore moderno. Dall'arrivo dei protagonisti al campo militare, il film cambia decisamente tono, assumendo i toni gravi di un'opera di denuncia storica, ma anche quelli saturi della satira più torva, per di più con ovvie allusione alla guerra del Vietnam allora in corso. Certo "Soldato blu" non è un film che va troppo per il sottile, la presa di posizione antimilitarista è netta e quasi greve nella sua virulenza, l'idealizzazione degli indiani come vittime inermi e pacifiche è antistorica. Ma attaccare, come fanno molti, il film sul piano della verosimiglianza storica appare quantomeno ingiusto: di fronte a migliaia di western che ci hanno raccontato la storia come ben sappiamo, perché non ha diritto di esistere UN film che ha avuto il coraggio di raccontarcela stando senza mezzi termini dall'altra parte? E comunque forse è bene ricordare che degli oltre 150 Cheyenne uccisi sul Sand Creek la maggior parte erano donne, bambini, anziani e che quasi i tutti cadaveri furono mutilati... sfugge il motivo per cui anche di fronte ad episodi storici del genere non si possa prendere una posizione di condanna netta, senza sconti, sanamente incazzata.

Anche il finale era qualcosa di mai visto in un western: il male trionfa e i buoni, impotenti e prigionieri, vengono divisi. Memorabile l'addio muto e disperato tra i due protagonisti. E il sorriso tra le lacrime di Candice Bergen.


La collera di Dio (The Wrath of God, 1972) di Ralph Nelson
con Robert Mitchum, Rita Hayworth, John Colicos, Frank Langella

Nelson torna al western per la terza ed ultima volta con questa pellicola picaresca d'ambientazione messicana, evidentemente influenzata dal modello dei western all'italiana, dove tre avventurieri (un vagabondo irlandese, un trafficante d'armi e uno strano prete) sono loro malgrado invischiati in una faida tra fazioni rivoluzionarie. In realtà è un western sui generis, essendo ambientato nel Messico del 1920 e guardando volentieri anche all'estetica dei gangster, con i mitragliatori thompson che spesso sostituiscono fucili e pistole. Il film è a tratti divertente, ha delle belle sequenze di violenza ispirate ai modelli (non eguagliati) di Peckinpah e Aldrich e rispetto ai film italiani può contare sulle magnifiche e vere location messicane, ma soffre anche dell'indecisione di molti di queste pellicole americane che si ispiravano ai modelli italiani, non sapendo scegliere tra l'allegro e colorato cinismo dei western nostrani e la consuetudine hollywoodiana di trarre comunque un senso e una morale da quello che si sta raccontando. Un po' insensata in questo senso la denuncia della violenza che traspare in qualche scena e dialogo, in un film in cui i personaggi dovrebbero essere tutti dei cinici, e piuttosto noiosa tutta la parte centrale dedicata a melodrammatici discorsi sulla fede e su dio. Gli stagionatissimi divi Mitchum (che ripropone una versione meno sinistra del suo falso predicatore di “La morte corre sul fiume”) e Rita Hayworth (al suo ultimo film) danno al film un'aria un po' polverosa, ma sono anche il sale del film. Meno convincenti i giovani John Colicos (l'irlandese) e Frank Langella nella parte del capo rivoluzionario che i protagonisti devono assassinare. 

Gli anni 70 vedono il rapido declino commerciale di Nelson. Tra i suoi ultimi da ricordare almeno l'inquietante Embryo con Rock Hudson, del 1976, film su un esperimento genetico, che per tematiche affini e per massicce dosi di pessimismo ricorda molto “I due mondi di Charlie”. Forse qualcosa da dire, un discorso che attraversava molti suoi film, l'onesto artigiano Nelson ce l'aveva davvero.

Tommaso Sega

3 commenti:

  1. Non so se si è capito che mi piace Candice Bergen.

    Aggiungo una nota di colore: vidi "Soldato blu" a 11 o 12 anni, a metà anni 80, senza sapere cosa mi aspettava. Fu un'esperienza decisamente sconvolgente. Il finale con i "cattivi" trionfanti e i "buoni" annichiliti fu per me quasi altrettanto sconvolgente che le sequenze del massacro.

    A ripensarci oggi a sconvolgere di più è però il fatto che il film era trasmesso in prima serata(!), senza censure(!!), su Raiuno(!!!).

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  2. Stessi ricordi ed esperienza riguardo a "Soldato Blu": anzi, magari abbiamo visto proprio la stessa proiezione.

    La bionda Candice negli anni settanta ha interpretato anche un altro paio di memorabili western: "Il giorno dei lunghi fucili" e "Stringi i denti e vai".

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  3. Guarda caso sto preparando un articolo sui western di Brooks e giusto ieri ho visto la bella Candice in Stringi i denti e vai... Invece purtroppo di Nelson non ho visto niente, nemmeno Soldato blu. Lacuna cui devo porre rimedio al più presto.

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